Accadde Oggi 08 novembre 0392:
Editto di Costantinopoli
L’imperatore romano Teodosio emana il suo quarto decreto "Gentilicia constiterit superstitione" noto anche come editto di Costantinopoli. Dichiarando di fatto quella Cristiana come religione di stato, inasprisce le pene per i rituali pagani per i quali si potrà anche essere condannati a morte.
Accadde Oggi 08 novembre 0392 1632 anni fa - accaddeoggi.it ©
Ecco il testo dell'editto:
Gli imperatori Teodosio, Arcadio ed Onorio al prefetto Rufino.
Nessuno, di qualunque condizione o grado (che sia investito di un potere o occupi una carica, che sia autorevole per nascita o sia di umili origini), in nessun luogo, in nessuna città, offra vittime innocenti a vani simulacri; e neppure in segreto, accendendo lumini, spandendo incenso, appendendo corone, veneri
i lari con il fuoco, il genio con il vino, i penati con gli aromi.
Se qualcuno oserà immolare una vittima in sacrificio e consultarne le viscere, come per il delitto di lesa maestà potrà essere denunciato da chiunque
e dovrà scontare la debita pena, anche se non avesse cercato auspici né contro il benessere né sul benessere dell’imperatore.
Costituisce infatti di per sé già un crimine il volere cassare le leggi imperiali,
indagare ciò che è illecito, volere conoscere ciò che è nascosto, osare ciò che è vietato, interrogarsi sulla fine del benessere di un altro, sperare e cercare un presagio della sua morte.
Se qualcuno venererà con l’incenso simulacri fatti dall’uomo e destinati a distruggersi con il tempo; o se, con ridicolo timore verso le sue stesse rappresentazioni, cercherà di onorare varie immagini cingendo un albero di nastri o innalzando un altare con zolle erbose (una totale offesa alla religione, pur se con la scusante di una offerta meno impegnativa), come reo di lesa religione perderà la casa o il possesso dove si sia reso schiavo della
superstizione pagana.
Stabiliamo infatti che tutti i luoghi dove si siano levati fumi di incenso – purché si
dimostri che appartengano a chi ha usato l’incenso – siano incamerati nel nostro fisco.
Se qualcuno cercherà di sacrificare con l’incenso in templi pubblici, o in case o campi altrui, qualora l’abuso avvenga all’insaputa del padrone dovrà pagare 25 libbre d’oro, e la stessa pena colpirà i conniventi.
Vogliamo che questo editto sia osservato dai giudici e dai magistrati, nonché dai funzionari di ogni città, in modo che i casi accennati da questi ultimi siano immediatamente tradotti in giudizio e, una volta tradotti in giudizio, siano subito puniti dai giudici.
Se i funzionari, per indulgenza o incuria, penseranno di poter coprire o tralasciare qualcosa, dovranno sottostare ad un procedimento giudiziario; quanto ai giudici, se procrastineranno l’esecuzione della sentenza saranno multati di 30 libbre d’oro, e la loro carica sarà sottoposta alla stessa multa.
Codice Teodosiano, XVI, 10, 12 (8 novembre 392).
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Ariete (21 marzo - 20 aprile)
Toro (21 aprile - 20 maggio)
Gemelli (21 maggio - 21 giugno)
Cancro (22 giugno - 22 luglio)
Leone (23 luglio - 23 agosto)
Vergine (24 agosto - 22 settembre)
(23 settembre - 22 ottobre) Bilancia
(23 ottobre - 22 novembre) Scorpione
(23 novembre - 21 dicembre) Sagittario
(22 dicembre - 20 gennaio) Capricorno
(21 gennaio - 19 febbraio) Aquario
(20 febbraio - 20 marzo) Pesci
Editto di Costantinopoli
L’imperatore romano Teodosio emana il suo quarto decreto "Gentilicia constiterit superstitione" noto anche come editto di Costantinopoli. Dichiarando di fatto quella Cristiana come religione di stato, inasprisce le pene per i rituali pagani per i quali si potrà anche essere condannati a morte.
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Ecco il testo dell'editto:
Gli imperatori Teodosio, Arcadio ed Onorio al prefetto Rufino. Nessuno, di qualunque condizione o grado (che sia investito di un potere o occupi una carica, che sia autorevole per nascita o sia di umili origini), in nessun luogo, in nessuna città, offra vittime innocenti a vani simulacri; e neppure in segreto, accendendo lumini, spandendo incenso, appendendo corone, veneri i lari con il fuoco, il genio con il vino, i penati con gli aromi.
Se qualcuno oserà immolare una vittima in sacrificio e consultarne le viscere, come per il delitto di lesa maestà potrà essere denunciato da chiunque e dovrà scontare la debita pena, anche se non avesse cercato auspici né contro il benessere né sul benessere dell’imperatore.
Costituisce infatti di per sé già un crimine il volere cassare le leggi imperiali, indagare ciò che è illecito, volere conoscere ciò che è nascosto, osare ciò che è vietato, interrogarsi sulla fine del benessere di un altro, sperare e cercare un presagio della sua morte.
Se qualcuno venererà con l’incenso simulacri fatti dall’uomo e destinati a distruggersi con il tempo; o se, con ridicolo timore verso le sue stesse rappresentazioni, cercherà di onorare varie immagini cingendo un albero di nastri o innalzando un altare con zolle erbose (una totale offesa alla religione, pur se con la scusante di una offerta meno impegnativa), come reo di lesa religione perderà la casa o il possesso dove si sia reso schiavo della superstizione pagana.
Stabiliamo infatti che tutti i luoghi dove si siano levati fumi di incenso – purché si dimostri che appartengano a chi ha usato l’incenso – siano incamerati nel nostro fisco.
Se qualcuno cercherà di sacrificare con l’incenso in templi pubblici, o in case o campi altrui, qualora l’abuso avvenga all’insaputa del padrone dovrà pagare 25 libbre d’oro, e la stessa pena colpirà i conniventi.
Vogliamo che questo editto sia osservato dai giudici e dai magistrati, nonché dai funzionari di ogni città, in modo che i casi accennati da questi ultimi siano immediatamente tradotti in giudizio e, una volta tradotti in giudizio, siano subito puniti dai giudici.
Se i funzionari, per indulgenza o incuria, penseranno di poter coprire o tralasciare qualcosa, dovranno sottostare ad un procedimento giudiziario; quanto ai giudici, se procrastineranno l’esecuzione della sentenza saranno multati di 30 libbre d’oro, e la loro carica sarà sottoposta alla stessa multa.
Codice Teodosiano, XVI, 10, 12 (8 novembre 392).
Gli imperatori Teodosio, Arcadio ed Onorio al prefetto Rufino. Nessuno, di qualunque condizione o grado (che sia investito di un potere o occupi una carica, che sia autorevole per nascita o sia di umili origini), in nessun luogo, in nessuna città, offra vittime innocenti a vani simulacri; e neppure in segreto, accendendo lumini, spandendo incenso, appendendo corone, veneri i lari con il fuoco, il genio con il vino, i penati con gli aromi.
Se qualcuno oserà immolare una vittima in sacrificio e consultarne le viscere, come per il delitto di lesa maestà potrà essere denunciato da chiunque e dovrà scontare la debita pena, anche se non avesse cercato auspici né contro il benessere né sul benessere dell’imperatore.
Costituisce infatti di per sé già un crimine il volere cassare le leggi imperiali, indagare ciò che è illecito, volere conoscere ciò che è nascosto, osare ciò che è vietato, interrogarsi sulla fine del benessere di un altro, sperare e cercare un presagio della sua morte.
Se qualcuno venererà con l’incenso simulacri fatti dall’uomo e destinati a distruggersi con il tempo; o se, con ridicolo timore verso le sue stesse rappresentazioni, cercherà di onorare varie immagini cingendo un albero di nastri o innalzando un altare con zolle erbose (una totale offesa alla religione, pur se con la scusante di una offerta meno impegnativa), come reo di lesa religione perderà la casa o il possesso dove si sia reso schiavo della superstizione pagana.
Stabiliamo infatti che tutti i luoghi dove si siano levati fumi di incenso – purché si dimostri che appartengano a chi ha usato l’incenso – siano incamerati nel nostro fisco.
Se qualcuno cercherà di sacrificare con l’incenso in templi pubblici, o in case o campi altrui, qualora l’abuso avvenga all’insaputa del padrone dovrà pagare 25 libbre d’oro, e la stessa pena colpirà i conniventi.
Vogliamo che questo editto sia osservato dai giudici e dai magistrati, nonché dai funzionari di ogni città, in modo che i casi accennati da questi ultimi siano immediatamente tradotti in giudizio e, una volta tradotti in giudizio, siano subito puniti dai giudici.
Se i funzionari, per indulgenza o incuria, penseranno di poter coprire o tralasciare qualcosa, dovranno sottostare ad un procedimento giudiziario; quanto ai giudici, se procrastineranno l’esecuzione della sentenza saranno multati di 30 libbre d’oro, e la loro carica sarà sottoposta alla stessa multa.
Codice Teodosiano, XVI, 10, 12 (8 novembre 392).
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