Accadde Oggi 06 febbraio 1853:
Rivolta di Milano
Rivolta a Milano: un migliaio di uomini armati di coltelli e pugnali assalta posti di guardia e caserme austriache uccidendo dieci persone e ferendone quarantasette. Sperano nell'ammutinamento dei soldati ungheresi e nell'aiuto popolare che non si verificano. Moltissimi vengono arrestati e in sedici saranno giustiziati.
Accadde Oggi 06 febbraio 1853
172 anni fa - accaddeoggi.it ©
(Nella foto: i moti del 6 febbraio 1853 a Milano in una stampa francese dell'epoca)
Domenica 6 febbraio 1853, alle ore 17 circa scoppiò a Milano un’insurrezione popolare anti-austriaca. Il giorno fu scelto dal Comitato
Rivoluzionario organizzatore (Giuseppe Piolti de Bianchi e Eugenio Brizzi) perché era l’ultima domenica di Carnevale e gli insorti
contavano, di conseguenza, che i soldati austriaci in libera uscita si sarebbero sparsi per le osterie.
Sul fare della sera, un migliaio circa di artigiani e di
operai armati soltanto di coltelli e pugnali diedero
audacemente l’assalto alle caserme, ai posti di guardia
austriaci, ad ufficiali di passaggio e posti di polizia,
confidando anche sulla promessa diserzione delle
truppe ungheresi (che non ci fu).
Mancò anche l’intervento concordato dal Brizi con un ingegnere del
municipio, che aveva ai suoi ordini un centinaio di
operai per la manutenzione delle vie, che avrebbero
dovuto intervenire – al momento opportuno – coi loro
attrezzi a dar man forte nel costruire barricate, dove si
era deciso di costruirle.
Le barricate furono erette al Cordusio, a Porta Tosa (ora
corso di Porta Vittoria), al Verziere, a Via della
Signora, Porta Ticinese, Porta Vicentina.
L’azione più incisiva e prolungata fu quella di Porta
Tosa (Giuseppe Varisco, i pettinai Saporiti e Carlo
Galli,1 Ferri, Biffi, Colla, l’ortolano Crespi, il calzolaio
Galimberti, e altri).
Venne poi presa d’assalto la Gran Guardia al Palazzo Reale: al comando del Ferri, si batterono i fratelli Piazza (Camillo e Luigi),
Giuseppe Moiraghi, Modesto Diotti, Antonio Cavallotti, Alessandro Silva, Pietro Varisco, Luigi Brigatti, Giuseppe Forlivesi, Antonio
Marozzi, e altri.
Gli scontri più violenti avvennero in Corso di Porta Romana (un soldato ucciso);
al Carrobbio (il cappellaio Opizzi, lo scalpellino Rivolta); nel borgo di Porta
Ticinese; in Corso di Porta Vercellina, presso Palazzo Litta (Antonio Cavallotti
guidava l’azione, ma fu arrestato); da via San Vincenzino sino all’arco di San
Giovanni Sul Muro (Francesco Segalini, già combattente del ’48, appoggiato da
due dei suoi figli, fu ferito gravemente e morirà il 2 marzo di dissanguamento per essersi strappato le fasciature, onde schivare la forca). Tra i soldati austriaci si
contarono dieci morti e quarantasette feriti.
Si assalì, senza successo, il Circondario di Polizia in Piazza Mercanti. Ma gli
attacchi non erano coordinati, le energie vennero disperse in mille rivoli.
Mancava una direzione unitaria, centralizzata. Si contava, in origine, sull’apporto
di almeno cinquemila insorti; ma i mazziniani borghesi (le marsine) rimasero
chiusi nelle loro case, e il restante ceto popolare non si lasciò trascinare in massa
dal moto. Piolti de’ Bianchi aveva tentato di dissuadere Mazzini dall’azione, ma
dopo un lungo colloquio avuto con lui a Lugano, tornò a Milano convinto del
contrario. Gli austriaci riuscirono a circoscrivere la rivolta e a spegnerla prima
dell’alba del giorno successivo.
Seguirono quattrocentoventi arresti, sei impiccagioni e una fucilazione
immediate. Il 10 altri quattro furono impiccati; il 14 due e il 17 gli ultimi tre. In
totale i giustiziati furono sedici.
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Rivolta di Milano
Rivolta a Milano: un migliaio di uomini armati di coltelli e pugnali assalta posti di guardia e caserme austriache uccidendo dieci persone e ferendone quarantasette. Sperano nell'ammutinamento dei soldati ungheresi e nell'aiuto popolare che non si verificano. Moltissimi vengono arrestati e in sedici saranno giustiziati.
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(Nella foto: i moti del 6 febbraio 1853 a Milano in una stampa francese dell'epoca)
Domenica 6 febbraio 1853, alle ore 17 circa scoppiò a Milano un’insurrezione popolare anti-austriaca. Il giorno fu scelto dal Comitato
Rivoluzionario organizzatore (Giuseppe Piolti de Bianchi e Eugenio Brizzi) perché era l’ultima domenica di Carnevale e gli insorti
contavano, di conseguenza, che i soldati austriaci in libera uscita si sarebbero sparsi per le osterie.
Sul fare della sera, un migliaio circa di artigiani e di operai armati soltanto di coltelli e pugnali diedero audacemente l’assalto alle caserme, ai posti di guardia austriaci, ad ufficiali di passaggio e posti di polizia, confidando anche sulla promessa diserzione delle truppe ungheresi (che non ci fu). Mancò anche l’intervento concordato dal Brizi con un ingegnere del municipio, che aveva ai suoi ordini un centinaio di operai per la manutenzione delle vie, che avrebbero dovuto intervenire – al momento opportuno – coi loro attrezzi a dar man forte nel costruire barricate, dove si era deciso di costruirle.
Le barricate furono erette al Cordusio, a Porta Tosa (ora corso di Porta Vittoria), al Verziere, a Via della Signora, Porta Ticinese, Porta Vicentina. L’azione più incisiva e prolungata fu quella di Porta Tosa (Giuseppe Varisco, i pettinai Saporiti e Carlo Galli,1 Ferri, Biffi, Colla, l’ortolano Crespi, il calzolaio Galimberti, e altri).
Venne poi presa d’assalto la Gran Guardia al Palazzo Reale: al comando del Ferri, si batterono i fratelli Piazza (Camillo e Luigi), Giuseppe Moiraghi, Modesto Diotti, Antonio Cavallotti, Alessandro Silva, Pietro Varisco, Luigi Brigatti, Giuseppe Forlivesi, Antonio Marozzi, e altri.
Gli scontri più violenti avvennero in Corso di Porta Romana (un soldato ucciso); al Carrobbio (il cappellaio Opizzi, lo scalpellino Rivolta); nel borgo di Porta Ticinese; in Corso di Porta Vercellina, presso Palazzo Litta (Antonio Cavallotti guidava l’azione, ma fu arrestato); da via San Vincenzino sino all’arco di San Giovanni Sul Muro (Francesco Segalini, già combattente del ’48, appoggiato da due dei suoi figli, fu ferito gravemente e morirà il 2 marzo di dissanguamento per essersi strappato le fasciature, onde schivare la forca). Tra i soldati austriaci si contarono dieci morti e quarantasette feriti.
Si assalì, senza successo, il Circondario di Polizia in Piazza Mercanti. Ma gli attacchi non erano coordinati, le energie vennero disperse in mille rivoli. Mancava una direzione unitaria, centralizzata. Si contava, in origine, sull’apporto di almeno cinquemila insorti; ma i mazziniani borghesi (le marsine) rimasero chiusi nelle loro case, e il restante ceto popolare non si lasciò trascinare in massa dal moto. Piolti de’ Bianchi aveva tentato di dissuadere Mazzini dall’azione, ma dopo un lungo colloquio avuto con lui a Lugano, tornò a Milano convinto del contrario. Gli austriaci riuscirono a circoscrivere la rivolta e a spegnerla prima dell’alba del giorno successivo.
Seguirono quattrocentoventi arresti, sei impiccagioni e una fucilazione immediate. Il 10 altri quattro furono impiccati; il 14 due e il 17 gli ultimi tre. In totale i giustiziati furono sedici.
Sul fare della sera, un migliaio circa di artigiani e di operai armati soltanto di coltelli e pugnali diedero audacemente l’assalto alle caserme, ai posti di guardia austriaci, ad ufficiali di passaggio e posti di polizia, confidando anche sulla promessa diserzione delle truppe ungheresi (che non ci fu). Mancò anche l’intervento concordato dal Brizi con un ingegnere del municipio, che aveva ai suoi ordini un centinaio di operai per la manutenzione delle vie, che avrebbero dovuto intervenire – al momento opportuno – coi loro attrezzi a dar man forte nel costruire barricate, dove si era deciso di costruirle.
Le barricate furono erette al Cordusio, a Porta Tosa (ora corso di Porta Vittoria), al Verziere, a Via della Signora, Porta Ticinese, Porta Vicentina. L’azione più incisiva e prolungata fu quella di Porta Tosa (Giuseppe Varisco, i pettinai Saporiti e Carlo Galli,1 Ferri, Biffi, Colla, l’ortolano Crespi, il calzolaio Galimberti, e altri).
Venne poi presa d’assalto la Gran Guardia al Palazzo Reale: al comando del Ferri, si batterono i fratelli Piazza (Camillo e Luigi), Giuseppe Moiraghi, Modesto Diotti, Antonio Cavallotti, Alessandro Silva, Pietro Varisco, Luigi Brigatti, Giuseppe Forlivesi, Antonio Marozzi, e altri.
Gli scontri più violenti avvennero in Corso di Porta Romana (un soldato ucciso); al Carrobbio (il cappellaio Opizzi, lo scalpellino Rivolta); nel borgo di Porta Ticinese; in Corso di Porta Vercellina, presso Palazzo Litta (Antonio Cavallotti guidava l’azione, ma fu arrestato); da via San Vincenzino sino all’arco di San Giovanni Sul Muro (Francesco Segalini, già combattente del ’48, appoggiato da due dei suoi figli, fu ferito gravemente e morirà il 2 marzo di dissanguamento per essersi strappato le fasciature, onde schivare la forca). Tra i soldati austriaci si contarono dieci morti e quarantasette feriti.
Si assalì, senza successo, il Circondario di Polizia in Piazza Mercanti. Ma gli attacchi non erano coordinati, le energie vennero disperse in mille rivoli. Mancava una direzione unitaria, centralizzata. Si contava, in origine, sull’apporto di almeno cinquemila insorti; ma i mazziniani borghesi (le marsine) rimasero chiusi nelle loro case, e il restante ceto popolare non si lasciò trascinare in massa dal moto. Piolti de’ Bianchi aveva tentato di dissuadere Mazzini dall’azione, ma dopo un lungo colloquio avuto con lui a Lugano, tornò a Milano convinto del contrario. Gli austriaci riuscirono a circoscrivere la rivolta e a spegnerla prima dell’alba del giorno successivo.
Seguirono quattrocentoventi arresti, sei impiccagioni e una fucilazione immediate. Il 10 altri quattro furono impiccati; il 14 due e il 17 gli ultimi tre. In totale i giustiziati furono sedici.
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